LA STORIA

Arpad Weisz nasce a Solt, in Ungheria, il 16 aprile del 1896. I suoi genitori, Lazzaro, un veterinario, e Sofia Weisz, sono entrambi ebrei. Arpad è bravo negli studi e inizia a frequentare la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Budapest. L’insorgere del Primo conflitto Mondiale lo costringe tuttavia ad abbandonare gli studi e da soldato viene inviato al fronte dall’Impero Austro-Ungarico per combattere contro il Regno d’Italia.

Durante la guerra è fatto prigioniero dall’esercito italiano sul monte Merzli presso Tolmino, e viene internato a Trapani, in Sicilia. In quel periodo impara la lingua italiana. Finita la guerra, inizia a giocare a calcio nel Torekves di Budapest. Ala sinistra scattante e molto tecnica, compone una formidabile coppia d’attacco con Ferenc Hirzer, detto ‘La Gazzella’. Il centravanti segnava goal a grappoli, anche perché Weisz dalla sinistra sforna per lui tanti assist.

Nel 1923 passano entrambi al Maccabi Brno, squadra ebraica dell’attuale Repubblica Ceca e nel 1924 fanno entrambi parte della Selezione ungherese che partecipa alle Olimpiadi di Parigi. I magiari assieme all’Uruguay sono la squadra favorita per l’oro ma accade qualcosa di strano. Dopo aver praticamente scherzato con la Polonia (5-0), escono dal torneo prendendo 3 goal dall’Egitto agli ottavi di finale.

La squadra è fondata sul centromediano, Bela Guttmann. Attorno a lui tanti altri campioni, in prevalenza ebrei magiari, fra cui anche Weisz, che è una riserva. In Ungheria ha preso però il potere di Miklós Horthy, un nazionalista con velleità antisemite, che aveva deciso di far infiltrare nella dirigenza della Nazionale suoi uomini. I giocatori sono fatti alloggiare in un alberghetto dove le condizioni igieniche non sono certo ottimali. Guttmann protesta a nome di tutti i compagni, ma non viene ascoltato.

I calciatori ungheresi uccidono allora i topi che circolano nelle camere e li appendono alle maniglie delle porte dei dirigenti. Ancora una volta non sono ascoltati. Così danno vita a quello che passerà alla storia come ‘il grande ammutinamento del 1924’. Scendono in campo e si fanno battere coscientemente dagli egiziani. Con il clima nazionalista che inizia a spirare nella Mitteleuropa, capiscono che in Ungheria è meglio non restare, e così, più o meno tutti i componenti della squadra olimpica, lasciano il Paese.

Arpad Weisz lascia la Nazionale ungherese, con cui aveva collezionato 6 presenze, viene in Italia e gioca nel 1924/25 con l’Alessandria, prima di passare all’Inter, che per ragione legate al linguaggio di regime, cambierà il proprio nome in Ambrosiana, che da sempre nutre una predilezione per i giocatori stranieri. In nerazzurro disputa 11 gare e segna 3 goal, tutti in una settimana, prima di farsi seriamente male al ginocchio. L’anno seguente, visti anche i problemi fisici, sceglie così di partire per l’Uruguay, Paese dove completa la sua formazione calcistica. La Celeste è infatti il cosiddetto ‘Dream Team’, la squadra che dominava il calcio di quegli anni e che si era imposta alle Olimpiadi del 1924 e avrebbe fatto il bis nel 1928, prima di vincere i primi Campionati Mondiali nel 1930. Quando torna smette di giocare e inizia, giovanissimo, a soli 30 anni, la carriera da allenatore.

Dopo alcuni mesi da vice di Augusto Rangone nell’Alessandria, lo richiama l’Inter, che crede nelle sue capacità e lo nomina allenatore della Prima squadra. Weis alloggia in Corso Italia, in un appartamento accanto a quello che è oggi il Touring Club, e il suo punto di riferimento è il Bar Vittorio Emanuele, frequentato dai grandi personaggi dell’arte e della cultura dell’epoca.

La squadra è forte: ci giocano, fra gli altri, l’ala della Nazionale Leopoldo Conti, la mezzala sinistra Luigi Cevenini III, detto Zizì, e Fulvio Bernardini, il centravanti, noto ‘Fuffo’. Weisz innova i metodi di lavoro, introduce la dieta per gli atleti e il lavoro sul campo affianco ai calciatori, oltre ai primi ritiri. Inoltre osserva con attenzione il Settore giovanile, dove gioca un certo Giuseppe Meazza.

È proprio Bernardini a insistere con Weisz perché monitori con attenzione la crescita del ragazzo. L’ungherese resta quasi folgorato nel vedere cosa Peppino sa fare con la palla e si rende conto di avere davanti un futuro campione. Raccolto un 5° posto nel 1926/27, decide di aggregarlo alla Prima squadra e di farlo esordire a 16 anni nella Coppa Volta a Como. In quell’occasione, alla lettura della formazione nello spogliatoio, Conti, fra i veterani della squadra, esclamerà sarcastico:  “Adesso facciamo giocare anche i Balilla!”   Con il termine Balilla erano infatti indicati i giovani fino ai 14 anni inquadrati nel regime fascista, e Balilla sarebbe diventato per sempre il soprannome di Meazza. In campionato l’Inter di Weisz raccoglie tuttavia soltanto un 7° posto nel 1927/28. Il piazzamento non soddisfa la dirigenza del club milanese e Weisz è sostituito col connazionale e amico Joszef Viola.

Arpad torna allora in patria per allenare per un breve periodo lo Szombathely, squadra della città in cui conosce la sua futura moglie, e che, salpando da Lisbona, guida in una tournée di circa quattro mesi in America Latina, a Cuba, in Messico e a New York.

Nell’estate del 1929, tuttavia, Aldo Molinari, segretario del vecchio club, che aveva assunto la reggenza della nuova società, diventata nel frattempo Ambrosiana-Inter per volere del fascismo, lo richiama in Italia, offrendogli la panchina. Weisz, che sarà a sua volta costretto a italianizzare il suo nome in Veisz, accetta e guida i nerazzurri allo Scudetto nel primo campionato a girone unico.

Ambrosiana-Inter Serie A 1929/30

Decisivi i goal di Meazza, il ragazzino che lui aveva lanciato, e che a 20 anni si laurea capocannoniere del campionato con 31 reti. Quando porta l’Inter al titolo di Campione d’Italia Weisz ha soltanto 34 anni: è ancora oggi il più giovane allenatore straniero ad aver vinto lo Scudetto. Nel frattempo, proprio con Molinari, scrive ‘Il Giuoco del Calcio’, un manuale in cui espone i principi del gioco del calcio e parla dei metodi di allenamento. 

All’Inter Weisz introduce il Sistema, il modulo di gioco messo a punto da Herbert Chapman, che rimarrà in auge in Europa fino agli anni Sessanta. Con l’arretramento del centromediano sulla linea dei difensori, la squadra è schierata con un 3-2-2-3. È il cosiddetto WM, le due lettere disegnate in campo dalla posizione di partenza dei giocatori. Il 24 settembre 1929 Arpad sposa in Ungheria Ilona Rechnitzer, il cui nome è italianizzato in Elena, che, come il marito, è un’ebrea ungherese.

La stagione successiva allo Scudetto è meno fortunata per Weisz e per l’Ambrosiana, che chiude il campionato soltanto al 5° posto. Il copione si ripete: la dirigenza non è soddisfatta e non rinnova il contratto a Weisz. Al tecnico ungherese arriva l’offerta del Bari, e Arpad sceglie di fare un’esperienza al Sud con i Galletti. I pugliesi lottano per non retrocedere, e devono giocarsi la permanenza in Serie A allo spareggio di Bologna, città del suo destino, il 16 giugno 1932. Il Bari si impone 2-1 sul Brescia e resta nel massimo campionato, al fischio finale Weisz è portato in trionfo dai suoi giocatori.

Nel 1932 assume la presidenza dell’Ambrosiana-Inter il facoltoso Ferdinando Pozzani, gradito al regime fascista, che per rilanciare i nerazzurri punta ancora una volta su Weisz. Per l’allenatore ungherese c’è dunque il 2° ritorno con i milanesi. Weisz ottiene 2 secondi posti in campionato e nel 1933 porta la squadra fino alla finale della Coppa dell’Europa Centrale, che vede tuttavia gli italiani soccombere contro l’Austria Vienna di Mathias Sindelar, il centravanti più forte degli anni Trenta, soprannominato ‘Cartavelina’.

A Milano la moglie Ilona dà alla luce due figli, Roberto e Clara, che vengono battezzati, perché i Weisz non sono ebrei ortodossi. Nel 1934 lascia per sempre l’Inter e riparte dalla Serie B con il Novara, che chiude al 2° posto nel Girone A e sfiora la promozione nella massima serie. Ma Weisz resta con i piemontesi solo 6 mesi, perché a fine gennaio del 1935 arriva per lui la chiamata del presidente del Bologna Renato Dall’Ara.

I felsinei, che nella prima parte di stagione erano stati guidati dal connazionale Lajos Kovács, sofferente per i postumi di un infortunio occorsogli durante un allenamento. Arpad e la sua famiglia si trasferiscono a Bologna in via Valeriani 39, nel quartiere Saragozza. Roberto e Clara sono iscritti alla Scuola elementare Luigi Bombicci. Presto Weisz si ambienta nella nuova realtà e trasforma i rossoblù in una grande squadra.

Bologna Serie A 1936/37

Già nei primi mesi la risolleva tanto che i rossoblù chiudono la stagione al 6° posto. È il preludio al trionfo del 1935/36. Con una rosa di appena 14 giocatori, infatti, Weisz conduce il Bologna allo Scudetto, il terzo della sua storia e diventa il primo allenatore a riuscirci con 2 squadre diverse. La formazione emiliana ha un’anima uruguayana.

Erano arrivati infatti in rossoblù negli anni Trenta Francisco Fedullo, trequartista sinistro molto forte noto come ‘El Piteta’, Raffaele Sansone, noto ‘Faele’, trequartista offensivo destro dai grandi mezzi tecnici e con il fiuto del goal, e Miguel Andreolo, centromediano dall’ottima visione di gioco, che da oriundo sarebbe stato il pilastro dell’Italia campione del Mondo nel 1938. Quest’ultimo è il grande colpo di Filippo Pascucci, collaboratore di Weisz, che nel 1935 riesce anche a convincere Sansone a far ritorno in Italia.

Weisz fonde l’anima uruguayana con quella italiana, e i risultati sono strabilianti. Partito Monzeglio, che il Duce aveva voluto alla Roma (era insegnante di tennis dei suoi figli) era stato rimpiazzato con il giovane Dino Fiorini, terzino sinistro di gran corsa e mezzi tecnici, e c’era ancora Angelo Schiavio, l’eroe dell’Italia del 1934, che il tecnico ungherese recupera fisicamente e mentalmente. Il Bologna nell’ultima giornata, il 10 maggio 1936, batte al Littoriale 3-0 la Triestina, precede di un punto la Roma e spezza l’egemonia della Juventus.

Gli emiliani, guidati da Weisz, bissano il successo nel 1936/37, vincendo il secondo Scudetto consecutivo. I successi del Bologna però oltrepassano i confini nazionali. I rossoblù, infatti, giocano a Parigi nel 1937 il Torneo dell’Esposizione internazionale, praticamente la Champions League dell’Epoca. Vincere è molto difficile, anche perché partecipano anche ‘I Maestri’ inglesi, che vi inviano il Chelsea.

I Blues arrivano naturalmente in finale, ma di fronte si trovano proprio i felsinei, che eliminano i francesi del Sochaux ai quarti di finale e lo Slavia Praga in semifinale. L’ostacolo dei londinesi è sulla carta proibitivo, invece i ragazzi di Weisz danno agli inglesi una lezione di calcio. Vincono 4-1 con tripletta di Reguzzoni e goal di Busoni e si aggiudicano il grande trofeo. Nasce la leggenda del ‘Bologna che tremare il Mondo fa’. È il 1937 e Weisz è il più grande allenatore d’Europa.

A Bologna il tecnico ungherese si dimostra anche un ottimo gestore di uomini: per coloro che non rigano dritto ha un metodo infallibile per riportarli sulla giusta strada. Li invita a pranzo a casa sua e nell’amabile atmosfera conviviale li convince a correggersi. Nel 1937/38 la squadra non riesce a ripetersi, fermandosi al 5° posto, ma nel 1938/39 gli emiliani iniziano la stagione con grandi risultati. Di lì a poco, però, la vita del grande allenatore sarebbe cambiata e gli eventi avrebbero assunto una piega tragica e drammatica.

A partire dal settembre del 1938 l’Italia approva le Leggi razziali, agli ebrei sono tolti i diritti civili e politici e viene teorizzata la superiorità della razza ariana. A coloro che sono arrivati in Italia dopo il 1919, in particolare, è imposto di abbandonare il Paese. Anche i Weisz devono dunque andar via.

A fine ottobre del 1938 Arpad Weisz si dimette dalla carica di allenatore del Bologna, senza che gli organi di stampa fascistizzati diano alcun risalto alla notizia. Nel gennaio del 1939 Weisz, la moglie Ilona e i suoi due figli, Roberto e Clara, lasciano l’Italia in treno per raggiungere Parigi.

Cerca una squadra, ci prova con il Red Star, in serie B, dove c’è qualche suo amico ungherese, ma non c’è niente da fare. Riceve una proposta dagli olandesi del Dordrecht, città sul mare nell’Olanda meridionale. Non una gran squadra, ma milita in Eredivisie e i tempi sono molto difficili. 

Weisz sceglie di andare in Olanda, e ottenuto il visto, diventa l’allenatore del Dordrecht. È una squadra di studenti e Weisz riesce a salvarla allo spareggio.

Pian piano, con i suoi metodi di lavoro, trasforma il Dordrecht, e ottiene due incredibili quinti posti, battendo anche le corazzate Ajax e Feyenoord. In quel momento i Paesi Bassi non hanno nulla a che vedere con il nazismo, gli ebrei ci possono vivere e ci possono lavorare. Ma nel maggio del 1940 la Germania di Hitler invade l’Olanda e in 5 giorni i tedeschi sono ad Amsterdam

A fine settembre 1941 Weisz verrà costretto a lasciare il lavoro e a sbirciare da un piccolo foro fra le assi della staccionata che delimita il campo di allenamento i suoi ragazzi, che lavorano assieme al nuovo tecnico. Seguono mesi molto duri, finché la mattina del 2 agosto 1942 la Gestapo, la polizia segreta della Germania nazista, irrompe a casa Weisz. Arpad, sua moglie e i due figli Roberto e Clara sono arrestati.

Pagano anche il biglietto, perché devono andare al campo di raccolta di Westerbrock, sempre in Olanda. C’è un campo di calcio, ma non sappiamo se Weisz ci abbia mai allenato, alcuni giocatori del grande Ajax, la squadra del ghetto di Amsterdam, e una libreria. Ma dal campo di raccolta partono ogni giorno dei treni verso la Polonia, perché Hitler ha varato la soluzione finale, l’Olocausto del popolo ebreo.

Il 2 ottobre 1942, un venerdì, la famiglia Weisz al completo è caricata su un treno con destinazione Auschwitz, in Polonia. Dopo 3 giorni di viaggio in condizioni disumane, Ilona, Roberto (12 anni) e Clara (8 anni) sono condotti a Birkenau e subito eliminati il 7 ottobre attraverso le camere a gas. Arpad, invece, assieme ad altri 300 uomini, viene fatto scendere a Cosel, in Polonia, per essere poi mandato nei campi di lavoro dell’Alta Slesia.

Dopo 15 mesi di lavori forzati, l’allenatore che aveva vinto 3 Scudetti e il Torneo dell’esposizione internazionale di Parigi è mandato comunque ad Auschwitz. Resiste fino all’inizio del 1944, ma il 31 gennaio trova anche lui la morte per stenti, dopo atroci sofferenze. La sua anima raggiunge quella dei suoi amati cari. Solo pochi anni prima era stato il più grande allenatore del Mondo, amatissimo dai suoi tifosi.

Nel 2012, in occasione della Giornata della Memoria, l’Inter va volito ricordare il grande ungherese con l’affissione di una targa allo Stadio Giuseppe Meazza.